Google AI Mode non mi fa dormire la notte
Tranquill*, ho risolto con la valeriana, ma mi aiuterebbe molto anche leggere il tuo umano punto di vista.
Perché Google abbia lanciato l’AI Mode lo darei per assodato: ChatGPT, Perplexity e tutta la squadra degli LLM gli sta togliendo ossigeno (cioè soldi).
Decenni passati a cliccare su risultati di ricerca che spesso non davano risposta ai nostri dubbi ci hanno spossato (e chiedere a un LLM è 1000 volte più appagante che scorrere righe e righe e righe di testo inutile); perciò Google sta perdendo la sua posizione predominante d’accesso all’informazione digitale e deve reagire.
Google sta tentando un numero d’equilibrismo che neanche Angela Nikolau: innovare senza far crollare l’ecosistema che lo sostiene.
dalla pagina Instagram di Angela Nikolau
Un giocoliere con 3 palle
Palla 1: L’esperienza utente (AI Mode)
Gli utenti vogliono risposte immediate, precise, senza dover aprire e leggere 14 schede sul browser. L’AI Mode fa esattamente questo: sintetizza l’informazione e te la serve. Risultato? L’utente è felice, ma non clicca più sui siti web.
Palla 2: Gli introiti pubblicitari
Google (vabbeh, Alphabet, ma ci capiamo) guadagna quasi solo dalla pubblicità.
Se l’utente non clicca più perché l’AI ha già risposto alla sua domanda, crolla il traffico. Meno traffico significa meno entrate per i publisher, ma anche meno accessi ai siti, meno opportunità di intercettare il target e quindi di fare retargeting.
Anche se Google continuerà a mostrare annunci a pagamento (quelli non credo spariranno), l’intero funnel pubblicitario si restringe.
Immagino che Google dovrà trovare un modo affinché ciò non accada.
Palla 3: I contenuti freschi da cui attingere
L’intelligenza artificiale non crea conoscenza nuova: rielabora quella esistente. Se i siti web smettono di produrre contenuti perché non servono a generare più traffico organico (e quindi guadagni), Google si ritroverà con un’AI che rimpasta sempre le stesse informazioni stantie.
Clic che valgono oro e clic che valgono aria
Google sa - però - che non tutti i clic (e quindi le visite) hanno lo stesso valore.
Un utente che cerca “a cosa serve il cacciavite” probabilmente si accontenta della risposta “ad avvitare e svitare le viti” senza cliccare su nessun link. Quel clic organico vale poco o nulla per Google (ma non i per nostri amati funnel AIDA & Co., sigh!).
Sacrificabile.
Un utente che invece cerca “scarpe da corsa per maratona sotto i 150 euro” ha un intento transazionale chiaro. Vuole comprare. Quel clic vale oro. L’AI in questo caso non risponderà direttamente, ma farà da vetrina: mostrerà opzioni, confronti, e spingerà l’utente a cliccare su risultati a pagamento o su e-commerce.
E lì entrano i soldi.
L’intento potrebbe quindi essere di massimizzare i clic che portano soldi e sacrificare quelli a basso intento che costano tempo (all’utente e a chi produce il contenuto).
Il web potrebbe quindi dividersi in due categorie:
Contenuti basici, ripetuti e facilmente riassumibili: definizioni, “come fare X”, FAQ generiche, informazioni fattuali. Tutte cose che l’AI può sintetizzare in poche frasi con conseguente traffico evaporato per i siti che li ospitano.
Contenuti non riassumibili o ad alto valore: strumenti interattivi, reportage, approfondimenti originali, opinioni personali, contenuti con forte personalità. Questi sopravviveranno (forse?) perché l’utente - su questa tipologia di contenuto - vuole fare un’esperienza diretta e non riassunta.
Vero: Google AI Mode inserisce link di attribuzione nelle risposte.
Vabbeh - grazie Google sempre sia lodato - ma un link in fondo a una risposta già fornita non ha lo stesso valore di un risultato organico nella vecchia ricerca. È un contentino.
E quindi, l’insonnia
Quanto tempo ci vorrà prima che publisher, blog, aziende e creatori di contenuti smettano di produrre informazioni per il web in quanto economicamente insostenibile? E quando smetteranno di produrre, cosa racconterà l’AI (di Google, ma non solo).
Le piattaforme AI inizieranno a pagare i contenuti di cui hanno bisogno per nutrirsi? Si svilupperanno nuovi modelli economici?
I soliti funnel AIDA&Co., dove andranno a finire se A, I e D non li intercettiamo più di prima mano? Via tutto?
Che fine fa l’incontrovertibile Brand Awareness se nessuno visita più i siti perchè si fida di quello che confeziona l’AI?
Come coesisterà l’intelligenza artificiale con l’ecosistema web che l’ha nutrita fino a oggi?
Quelle 3 palle staranno in aria per sempre? Se la risposta è no, quale cadrà per prima?




Apprezzo l'onestà di fermarsi alle domande e ammettere che quelle domande non fanno dormire la notte, anche perché vedo molti futurologi che non hanno uno straccio di dato di fatto per affermare ciò che affermano. Nemmeno io ho risposte a quelle domande, ma ho un'ulteriore domanda - che potrebbe suonare stupida, ma tant'è: nel mondo del digital marketing si dice sempre (e sottolineo "sempre", quasi ossessivamente) che il cambiamento dev'essere accolto e non respinto, ma mi chiedo se abbiamo mai assistito a un cambiamento di tale portata. Qui non si tratta semplicemente di passare da - che ne so - Facebook come piattaforma di contenuti organici a Facebook come vera e propria piattaforma pubblicitaria, ma di mettere in discussione i meccanismi più basilari di funzionamento di internet. Accoglieremo anche questo cambiamento, ma l'abbiamo mai provato un tale livello di ansia? Che mondo ci aspetta dall'altra parte? Un mondo poco o tanto diverso, com'è accaduto finora, o tutto un altro mondo, magari un mondo in cui gli esseri umani non servono?